Consigli di rappresentazione LGBT+ #02

Come l’anno scorso, ho deciso di parlarvi di tutti quei prodotti con rappresentazione LGBT+ (valida, a mio avviso) che ho consumato da luglio 2021 fino a oggi in un solo articolo, spiegandoli a parole mie e illustrandoveli con pro e contro. Li trovate in ordine alfabetico e divisi per sezioni!

P.S.: Mi dispiace di non essere riuscita a pubblicare questo contenuto a giugno: il 27 ho dato un esame (letterature moderne comparate), logicamente nei giorni prima sono stata molto presa dallo studio, mentre in quelli successivi purtroppo non mi sono sentita bene, infine il 30 ho festeggiato il mio compleanno. Avendo quindi già oltrepassato la scadenza me la sono presa comoda e ho pensato di ultimarlo con calma, magari aggiungendo anche qualcosa di concluso dopo la fine di giugno, perché tanto ormai è fatta.

PP.S.: Ho inserito il target di riferimento per ogni opera (basato sulla mia opinione personale, in base alle tematiche trattate e al modo in cui sono trattate), ma è chiaro chiunque può godersi un prodotto a prescindere dalla propria età.

SERIE TV

Bad Buddy

TARGET = young adults

Dire che mi sono innamorata di questa serie è riduttivo. L’ho finita in tre giorni (e solo perché c’era lo studio nel mezzo) e non riesco a smettere di pensarci. Ogni volta che guardo una scena con i due protagonisti sorrido così prepotentemente che devo fermarmi prima di avvertire dolore alla mascella.

Piccole premesse che voglio affrontare subito per poi raccontarvela tra uno sclero e l’altro: sì: è una serie tailandese; no: non è stata doppiata in italiano (o in inglese). Se non avete mai guardato una serie asiatica potrebbe causarvi un breve shock linguistico (la loro vocalità è assai diversa dalla nostra), ma vi posso assicurare che passerà nel giro di pochi episodi.

Altra premessa: non la definirei necessariamente una serie che cerca di farsi prendere sul serio. È una serie che sa assumere un tono serio quando lo necessita, che sa alternare una comicità quasi demenziale a una drammaticità strappalacrime, però in generale iniziatela con la consapevolezza che ci saranno anche tante scene divertenti ai limiti dell’imbarazzante, a volte quasi cringe nel loro realismo (che io però personalmente ho un sacco apprezzato; ho riso veramente tanto guardandola e ne avevo bisogno); tuttavia vi assicuro che la bravura degli attori e la chimica che c’è tra di loro riescono a compensare.

Finito finalmente con le scartoffie, passiamo alla ciccia: la storia segue i due protagonisti, Phat e Pran, e le loro disavventure nel percorso che compiono per passare dall’essere nemici-amici a fidanzati. Se infatti tra le vostre dinamiche finzionali di coppia che preferite c’è quella rivals to lovers, avete senz’altro trovato pane per i vostri denti; ma anche se amate le storie d’amore dove i piccioncini si conoscono da quando erano piccoli (la dinamica childhood friends to lovers) non potrete che restare soddisfattə. Infine… qualche fan di Romeo e Giulietta? Forse Shakespeare si rivolterebbe nella tomba sentendomelo dire, ma ho adorato l’amore proibito di Phat e Pran più di quanto non mi sia mai riuscita ad andare giù la sua tragedia. I due ragazzi, infatti — a differenza di ciò che spesso accade nei media queer —, devono nascondere i sentimenti che provano l’uno per l’altro non a causa del fatto che amano una persona dello stesso genere, ma proprio per la persona di cui hanno finito per innamorarsi: le loro famiglie (più specificamente il padre di Phat e la madre di Pran) si detestano e hanno cercato di inculcare quell’odio anche ai figli — con scarsi risultati —; il fatto che le facoltà delle quali i due ragazzi fanno parte (Phat è uno studente di Ingegneria, mentre Pran di Architettura) siano a loro volta rivali e che, quindi, i loro amici si odino, non semplifica per niente la situazione.

Ciò che mi ha fatto innamorare follemente della serie è stata l’attenzione con la quale sono stati curati i due personaggi principali, incluso l’utilizzo del metodo — sacrosanto e troppo spesso dimenticato — show, don’t tell. Se funzionano così bene assieme e se riescono a catturare chi guarda in modo così totalizzante è proprio perché arriviamo a conoscerli bene, comprendiamo in che modo sono molto diversi l’uno dall’altro, nonché complementari, ma anche quanto sono simili. Gli attori che li interpretano e l’abbondanza di primi piani destinati a riprendere ogni loro espressione aiutano non poco a percepire ciò che sentono a pensano anche quando a quei sentimenti e a quei pensieri non viene data voce. Per quanto quindi la serie non brilli per complessità nella sua trama e, come accennavo già prima, nonostante non manchino i momenti esagerati o inseriti per puro comic relief, io non posso che complimentarne la scrittura, perché le azioni dei protagonisti risultano sempre coerenti e spiccano per realismo (ci sono stati dei momenti in particolare che io non ho mai visto rappresentati altrove e che però ho trovato estremamente verosimili).

Ho adorato la volontà della serie di scardinare alcuni cliché e pregiudizi dei BL, come quelli legati alla femminilizzazione di uno dei due componenti di una coppia gay (chiamare quindi, per esempio, uno dei due ragazzi fidanzata o moglie), o ancora la fastidiosissima bi erasure perseverata dalle solite frasi della serie “Io sono eterosessuale, ma tu sei la mia eccezione” (anzi: la scoperta sessuale di Phat e il percorso verso la realizzazione di essere attratto da tutti i generi è molto naturale e ancora una volta realistico), o per finire gli stereotipi legati a chi in una coppia dovrebbe essere il top e chi il bottom.

Ci sono quattro personaggi secondari: Pha, Ink, Wai e Korn. Wai e Korn sono i migliori amici rispettivamente di Pran e Phat, Pha è la sorella di Phat e Ink invece è una compagna di liceo dei protagonisti e temporaneo interesse amoroso di Phat. Ci sarà una coppia saffica nella seconda metà della serie sulla quale preferisco non fare spoiler, ma vi posso assicurare che sono adorabili e capaci di intrattenere tanto quanto i protagonisti.

Wai e Korn sono iconici a modo loro, per motivi diversi, e di certo non si può dire che non vogliano bene ai loro amici; c’è però a tal proposito a mio avviso la più grande pecca della serie: uno dei due, per evitare troppi spoiler non dico chi, farà outing alla coppia principale; la cosa grave però non è l’azione in sé (motivata per quanto non giustificata), quanto la direzione che ha deciso di prendere la scrittura: il personaggio non ha mai neanche chiesto scusa per il suo gesto, nonostante abbia esposto la relazione dei due ragazzi all’intera università, ma anzi ha preteso lui delle scuse, per ragioni comprensibili ma che comunque non possono assolutamente discolparlo.

Al di là di questo elemento, io non posso che consigliarvi questa serie: il finale è dolceamaro ma allo stesso tempo dà grande speranza per il futuro, l’ultimo episodio è arrivato a farmi piangere, grazie anche alla presenza di un altro personaggio secondario, Tong, che si è rivelato assai più significativo di quanto pensassi; Phat e Pran sono una coppia meravigliosa che non potrà non coinvolgervi almeno un po’. In generale, se state cercando una serie che possa emozionarvi ma anche farvi ridere e causarvi tanto second hand embarassment, avete trovato il prodotto giusto per voi!

Heartstopper

TARGET = young adults

Non ha bisogno di presentazioni, me ne rendo conto. La inserisco nelle serie tv, ma in realtà il mio consiglio è quello di leggere il fumetto; questo non per la retorica trita e ritrita che sosterrebbe la superiorità dell’opera “originale” rispetto al suo adattamento, ma perché semplicemente, forse anche per giungere a un pubblico quanto più vasto possibile, nella serie sono state inserite dinamiche banali, scontate e a mio avviso fastidiose, completamente assenti nel fumetto (es.: l’intero personaggio di Imogen e la sottotrama a lei legata). La rappresentazione lgbt resta comunque meravigliosa e, anzi, la coppia lesbica composta da Darcy e Tara, che nella versione cartacea è sicuramente secondaria rispetto ai protagonisti Nick e Charlie, ottiene anche una maggiore spotlight, così come il personaggio di Elle, una ragazza trans. Le mie considerazioni quindi si rifaranno soprattutto al fumetto, però naturalmente se deciderete di guardare la serie tv sarà comunque tempo ben speso.

Ve lo consiglio:

  • se vi piacciono le storie lgbt con un cast ampio, dove alcuni personaggi sono già consapevoli della loro identità queer, mentre altri la scoprono man mano che la narrazione evolve;
  • se amate gli amori adolescenziali, dove le dinamiche di coppia sono molto legate all’ambiente scolastico;
  • se vi piace il found family trope;
  • se vi piacciono i prodotti dove la storia d’amore aiuta i personaggi a crescere e a migliorare come individui;
  • se vi fa stare bene leggere storie dove regna un’atmosfera di purezza e accettazione, dove l’odio e la violenza non rimangono impuniti e dove i personaggi riescono a trovare in amici e amanti una via di fuga da ambienti o rapporti tossici;
  • se desiderate leggere prodotti dove oltre alla comunità lgbt+ vengono trattate anche altre tematiche serie o delicate (TW: disturbi alimentari);
  • se andate pazzə per quelle storie capaci di alternare con maestria momenti gioiosi e divertenti ad altri più tragici e profondi;
  • se amate l’assenza del miscommunication trope (ovvero: quando si creano tensioni all’interno della storia sulla base del fatto che i personaggi male-interpretano le reciproche azioni o parole e non si confrontano quando sovviene un’incomprensione, oppure non consentono all’altra parte di spiegare i motivi di un determinato comportamento e li danno per scontati, spesso fraintendendo e agendo in modi che complicano o peggiorano il corso degli eventi); non è completamente inesistente nella serie tv, ma non è neanche preponderante o fastidioso;
  • se il consenso è un aspetto che vi piace venga sottolineato e curato all’interno di un’opera (NB: al momento attuale Oseman, la penna che ha scritto e disegnato il fumetto, ha prodotto sette volumi, dei quali l’ultimo è ancora in corso; l’argomento ‘sesso’ è stato solo accennato durante i più recenti capitoli e, a giudicare dal loro contenuto, è probabile che in quelli futuri tra i protagonisti avverrà effettivamente un rapporto sessuale, ma per ora non è ancora successo; ciò a cui io mi riferisco infatti è il consenso nelle piccole cose, in quei gesti per i quali può sembrare superfluo ma che, invece, costituiscono la base di un rapporto fondato sulla comunicazione);
  • se vi piacciono le coppie dolci, tenere, che stampano un sorriso in faccia ogni volta che sono on screen.

Non mi vengono in mente veri e propri motivi per non consigliarvi questo fumetto, perché, al di là dei più svariati gusti personali (es.: il target è piuttosto evidente, quindi se non si gradiscono opere indirizzate prevalentemente a teenagers e a giovani adulti è comprensibile non apprezzare neanche Heartstopper), io non sono davvero riuscita a trovarci una pecca. Parla egregiamente di omosessualità, bisessualità e transessualità, di disturbi alimentari e salute mentale (in particolare, ho amato che venisse sottolineato quanto l’amore di qualcuno che ci sta vicino sia fondamentale in questi casi, ma purtroppo non sufficiente per guarire e stare bene con noi stessə), di omofobia (interiorizzata e non) e bifobia, di amicizia, amore e legami familiari.

La serie tv, invece, come ho già sottolineato, ve la sconsiglio perlopiù se non amate i drammi adolescenziali: c’è da dire che Heartstopper si sofferma sulla queer joy molto più che i soliti prodotti legati a queste tematiche, quindi non voglio spacciarvelo per un telefilm dove succedono solo guai o che va avanti un inciucio dopo l’altro, però gli manca quella capacità del fumetto di tagliare il superfluo. Mi ci soffermerò più specificamente in una recensione, nel frattempo sappiate solo che vi consiglio entrambe le versioni ma che vi regalerei un biscotto se leggeste il fumetto.

Mr. Heart

TARGET = teens

Mr. Heart è una di quelle serie che fa bene al cuore, dalla capacità di tirare su il morale durante una giornata storta; è composta di sole otto puntate da poco più di dieci minuti l’una. Si tratta di un drama coreano i cui protagonisti sono Jin Won, corridore professionista che frequenta l’università, e Sang Ha, suo fanboy, e in seguito pacemaker, di un anno più piccolo. Ve la consiglio:

  • se non necessitate di una serie impegnativa, ma piuttosto avete bisogno di qualcosa che vi aiuti a staccare la spina e a sorridere ininterrottamente per uno scarso quarto d’ora;
  • se cercate una serie che tratti di argomenti esistenziali o di tematiche delicate ma in modo comico e leggero, senza appesantire troppo l’atmosfera (TW: morte di un genitore, pensieri suicidi), a volte addirittura demenziale (TW: criminalità organizzata);
  • se vi piacciono gli amori giovanili e un po’ sdolcinati;
  • se siete solitə shippare quei personaggi che battibeccano tutto il tempo, o che fingono di non sopportarsi ma che sotto sotto si vogliono bene, e specie se vi piace la dinamica lovers/friends to rivals o i personaggi tsundere;
  • se vi piacciono le coppie dove c’è una forte ammirazione da parte di un membro per l’altro;
  • se vi piace il trope ragazzə riccə x ragazzə poverə;
  • se vi piacciono i prodotti vanilla, dove ə protagonistə non si spingono oltre al bacio e a farla da padrone sono coccole, risate e tenerezza.

Non ve la consiglio, ovviamente, se nulla di ciò che ho elencato fa al caso vostro, specie se il vostro pane quotidiano sono prodotti che puntano molto all’approfondimento psicologico dei personaggi e delle loro backstory in modo realistico e toccante. C’è, però, una innegabile crescita di entrambi i protagonisti, alla quale è comunque piacevole assistere.

Queer as Folk (2000-2005)

TARGETS = young adults (14+) / adults

Non menzionare Queer as Folk (USA) in un articolo del genere sarebbe un’eresia. Non solo è stata una serie importante della mia adolescenza, ma all’epoca rivoluzionò completamente la televisione queer, ponendosi in contrasto con altre serie lgbt più eteronormativizzate e family friendly, come Will & Grace (che, comunque, fece a sua volta il suo dovere, e continua a farlo anche oggi, sebbene in maniera diversa). Queer as Folk è un manifesto omosessuale schietto e senza peli sulla lingua, dove l’esperienza gay viene declinata in tanti modi quanti sono i personaggi sullo schermo. È stata la primissima serie tv a mettere in scena un rapporto sessuale tra un uomo HIV positivo e uno negativo, nonché una delle prime in generale a rappresentare senza censure o “eccessi di pudore” (per citare la cara RAI) la vita sessuale delle persone gay, in tutte le sue sfumature, dalle più casalinghe alle più eccentriche ed esasperate. La serie si è sempre esposta fin dalla prima stagione su tematiche ancora attualissime come i matrimoni dello stesso sesso e l’omogenitorialità, schierandosi apertamente a favore di questi ultimi e demonizzando nella finzione scenica tutti i personaggi che invece vi si oppongono. Questa propaganda ebbe addirittura un risvolto politico in Canada, il paese nel quale la serie fu girata, dove tra il 2003 e il 2005 il matrimonio egualitario divenne legale.

Si tratta, insomma, di una serie che ha lasciato un’eredità pazzesca alla televisione queer che l’ha susseguita, che non ha mai avuto paura di azzardare, di osare, di esagerare, di mettere a nudo aspetti della realtà che si preferisce ignorare (come la prostituzione minorile, anche maschile) e di mettere in mostra i contenuti più discutibili e controversi (a partire dalla relazione tra Brian e Justin, coppia principale dello show: nella prima metà della prima stagione, infatti, Justin era ancora diciassettenne, mentre Brian aveva già ventinove anni). Ha fatto tutto questo e anche di più, ma approfondendo ogni personaggio protagonista in maniera eccellente e realistica, rendendoli più vicini a persone che potremmo conoscere nella vita reale che a stereotipi finzionali con una precisa funzione narrativa; la vita di ognuno di loro è ovviamente condizionata e influenzata anche dall’essere gay, ma questa rimane comunque solo una delle caratteristiche che li definiscono.

Tuttavia, non ci troviamo certo dinanzi a una serie perfetta: innanzitutto, Queer as Folk non fa sul serio rappresentazione queer, cioè lgbt+, ma esclusivamente omosessuale (la parola, a onor del vero, è diventata un termine ombrello solo in termini più recenti, mentre durante l’epoca di Queer as Folk era ancora uno slur offensivo, appena rivendicato e riconquistato dalla comunità omosessuale per auto-definirsi); tutti i protagonisti della storia sono uomini gay e l’unica coppia lesbica risulta in comparazione secondaria e bistrattata rispetto alle altre relazioni, senza contare che le scene di sesso tra le due donne sono caratterizzate da un palesissimo e fastidiosissimo male gaze. Non solo non ci sono personaggi bisessuali, ma addirittura nella quarta stagione è presente un intero arco indiscutibilmente bifobico e disgustoso, ai danni — neanche a dirlo — della sopracitata coppia lesbo e nello specifico di una delle due donne, ovvero Lindsay, personaggio praticamente costretto a negare la propria bisessualità e forzato a farsi stare bene uno solo dei due binari considerati accettabili, a scegliere un lato e non l’altro, come se una cosa naturale e spontanea quale l’orientamento sessuale potesse mai essere una scelta; nel caso in cui ve lo steste chiedendo, no: la bifobia a cui è stata sottoposta non voleva essere di denuncia, come ad esempio lo è stata l’omofobia di cui sono stati vittime tutti gli altri personaggi a turno, ma viene piuttosto perpetuata proprio dalle persone che le sono più vicine, il modo stesso in cui viene scritta vorrebbe convincere lo spettatore che a essere nel torto non sono Melanie (compagna di Lindsay) o Brian, nell’invalidare ciò che lei prova, ma Lindsay stessa, che infatti nel corso degli episodi definirà ciò che è accaduto (ovvero un suo rapporto sessuale con un uomo) una deviazione di rotta, un errore, un’espressione di un lato di sé che però non vale la pena esplorare, ma piuttosto reprimere.

La comunità transgender non è denigrata o ridicolizzata, ma è comunque più che marginale e funge spesso da sottotrama comica o da elemento di spettacolarizzazione, ma senza che le venga data una vera e propria dignità all’interno della storia.

Un altro difetto della serie è senza dubbio il cast: è interamente caucasico; nonostante nel corso delle puntate venga sottolineata in più di un’occasione l’esistenza del privilegio bianco, Queer as Folk non ha fatto nulla di concreto per opporvisi, preferendo proporre un ventaglio di personaggi anche piuttosto ampio ma sicuramente non variegato. Sarà questo pure un elemento in comune alla stragrande maggioranza dei prodotti dell’epoca, ma non mi sembra una giustificazione per ignorarlo vent’anni dopo come se non fosse effettivamente un problema.

Con Queer as Folk (USA) non ce l’ho fatta a procedere per punti, ma ho preferito proporvi un flusso di coscienza — spero — abbastanza coerente e coeso, dando forma a pensieri che hanno ballato nella mia mente dalla fine dell’anno scorso, quando ho rewatchato la serie. Per cui, tirando le somme, questa serie ve la consiglio? Certo! Ma non sarebbe stato corretto parlarne come di un prodotto solo avanguardistico, o come di una rappresentazione esclusivamente positiva; ha le sue problematicità, alcune anche al di fuori di ciò che vi ho narrato, e ha un sacco di TW (omofobia, interiorizzata e non; bifobia, ma a carico degli autori; aggressioni fisiche, violenza; tentato stupro e stupro, non eccessivamente esplicito; morte; consumo ricreativo, e non, di droghe leggere, e non; attentato terroristico; descrizioni esplicite dell’HIV; prostituzione minorile; etc.), e la presenza massiccia di scene erotiche potrebbe mettere a disagio alcune persone.

Spero che comunque, nonostante i difetti che ho sviscerato, io sia comunque stata in grado di incuriosire qualcunə a darle una chance.

Queer as Folk (2022)

TARGET = young adults (14+) / adults

Sul reboot inglese di Queer as Folk uscito nel giugno di quest’anno cercherò di non dilungarmi troppo. Ve lo consiglio:

  • se siete alla ricerca di una rappresentazione lgbt+ variegata ma non forzata, di una serie con un cast ampio e quasi interamente queer senza che la parola si limiti a indicare uomini e donne omosessuali; in particolare, la rappresentazione transgender (trans, non binaria, crossdresser…) è davvero ben fatta e non risulta mai messa lì tanto per esserci e fare numero, ma anzi ogni personaggio prima di far parte della comunità è innanzitutto un essere umano con una personalità e dei problemi, che in buona parte prescindono dal suo essere lgbt+;
  • se siete alla ricerca di una serie con personaggi poc e disabili senza che, anche in questo caso, tale rappresentazione sia fine a se stessa o che essi finiscano per diventare delle macchiette ed esistere solo in quanto non-bianchi o disabili;
  • se siete alla ricerca di una serie che rappresenta il sesso in modo realistico e dove tanto i personaggi maschili quanto quelli femminili e non binary, e tanto i personaggi disabili quanto quelli non disabili, esprimono liberamente i loro gusti sessuali e sono presentati come desiderabili e amabili;
  • se vi piacciono i prodotti che offrono una rappresentazione credibile della contemporaneità, con i suoi vantaggi e i suoi problemi, e che sono imbevuti di cultura pop (in particolare, c’è stato addirittura un riferimento al terfismo di J. K. Rowling che mi ha fatto quasi cacciare un urlo per la contentezza, ma anche tante citazioni a serie tv, applicazioni e modi di fare identificativi dell’ultimo decennio e non solo).

Purtroppo, non ve la consiglio se… cercate una serie tv ben fatta, coerente, con una scrittura dei personaggi che si regge in piedi dal primo all’ultimo episodio. Si tratta secondo me di un difetto in parte causato dalla volontà di riprendere alcune dinamiche che avevano caratterizzato la serie degli anni duemila (e quella ancora precedente UK), ma purtroppo il modo in cui sono state inserite in questa storia che, difatti, è completamente inedita, autonoma rispetto al cosiddetto originale, è risultato estremamente contraddittorio. I personaggi agiscono senza che le motivazioni dei loro gesti o dietro le loro parole risultino ben chiare e il modo in cui i loro sfoghi vengono presentati nella storia sembra voler portare lo spettatore a empatizzare con loro e a colpevolizzare Brodie, il protagonista, che per qualche motivo a detta degli altri sarebbe l’origine di tutti i loro mali, ma in realtà chiunque abbia seguito la storia con un minimo di attenzione si rende conto che si tratta di esagerazioni, spesso senza fondamento, ed è portato piuttosto a dispiacersi per lui, che però non è che comunque sia un santo o un personaggio totalmente positivo. È difficile empatizzare in realtà con chiunque dei protagonisti, a parer mio, perché la loro scrittura è abbastanza scialba e approssimativa e i rapporti tra di loro spesso incongruenti e illogici. L’unica relazione che mi ha catturata sul serio è stata quella tra Brodie e Ruthie — e temo per il modo in cui potrebbe essere approfondita nella seconda stagione a giudicare dal finale della prima —, però anche all’interno di quest’ultima ci sono stati degli elementi che mi hanno davvero indotta a un palmface istantaneo.

Insomma, l’unico motivo per cui sono davvero contenta che questo reboot abbia visto la luce del sole sta nella rappresentazione variegata e ben fatta, che mancava totalmente nell’originale e che, in generale, è difficile trovare un po’ ovunque, ma da un punto di vista strettamente legato alla trama e ai personaggi ho riscontrato parecchie pecche. Non sto dicendo che non ci siano stati momenti che mi hanno fatta commuovere o ridere, o che non abbia avuto in simpatia nessuno dei protagonisti neanche per mezzo minuto, però diciamo che il risultato finale è stato un po’ troppo sconcatenato per i miei gusti.

MANGA & ANIME

Bloom into you (Yagate Kimi ni Naru)

TARGET = young adults

Non so se avrò mai la forza di scrivere una vera e propria recensione di Bloom into You: è un’opera troppo importante per me; ed è di una complessità tale che descriverla non sarebbe facile a prescindere. Non potevo però evitare di menzionarla in questa lista, considerando che l’ho riletta proprio a giugno, innamorandomene a dismisura ancora una volta (è stata, penso, la mia quarta o quinta rilettura). Non dico che sia un manga perfetto, ma personalmente non sono mai riuscita a trovarci un vero e proprio difetto.

Ve lo consiglio:

  • se state cercando un prodotto con rappresentazione demisessuale e/o asessuale/aromantica; la protagonista si trova nello spettro demi e un altro personaggio, piuttosto rilevante all’interno della storia, è invece aroace; il modo in cui se ne parla è naturale e rispettoso, mai una volta questi personaggi vengono visti come sbagliati o come persone a cui manca qualcosa, che hanno bisogno di essere aggiustate; Yuu, la protagonista, si sente effettivamente in difetto per questo suo modo di essere, ma finisce nel corso della storia per accettarsi e anche per innamorarsi di qualcuno, provando quelle sensazioni che aveva creduto fossero per lei utopiche e impossibili da raggiungere;
  • se amate le narrazioni che, per quanto incentrate su un rapporto romantico, pongono la crescita psicologica dei personaggi, principali e secondari, al primo posto, facendo attenzione a svilupparli con cura, coerenza narrativa e tanta pazienza, senza che i loro cambiamenti risultino affrettati o illogici;
  • se vi piacciono i triangoli amorosi ben scritti, dove i sentimenti di tutti e tre i componenti vengono sempre validati e valorizzati in modo maturo ed empatico;
  • se apprezzate particolarmente le storie ricche di parallelismi e simbolismi ricorrenti nel corso dei volumi (o episodi, ma purtroppo l’anime copre solo la prima metà del manga, perché è stata prodotta una sola stagione; io ancora spero in una seconda, specie perché la prima è stata veramente un adattamento quasi perfetto);
  • se di solito consumate prodotti dove i protagonisti sono alla ricerca della propria identità;
  • se desiderate una storia lgbt+ dove però la stessa componente lgbt+ non ricopre un ruolo essenziale nella narrazione; in altre parole: sì; il fatto che la coppia principale sia tra due ragazze viene sottolineato in più di un’occasione; e sì: l’omofobia, interiorizzata e non, è purtroppo vagamente presente nella trama; ma nulla di tutto questo risulta predominante rispetto alle caratterizzazioni dei personaggi e al modo in cui essi interagiscono tra di loro;
  • se volete piangere… conta come punto a favore?

Ciò che ho elencato finora non si avvicina neanche a spiegare tutto ciò che è davvero Bloom into You: la complessità dei suoi personaggi, la bellezza, delicatezza e tragicità della sua storia, la capacità di Nio Nakatani di alternare scene strappalacrime a momenti comici e leggeri, o il modo in cui l’inizio e la fine del manga risultano così legati e allo stesso tempo così distanti da rappresentare un vero e proprio ciclo, dove tutto torna e niente viene lasciato al caso. Io davvero non vi consiglio nessun prodotto di questa lista più di questo, a prescindere dal fatto che siate o meno parte della comunità lgbt+ e che steste o meno cercando suggerimenti di storie queer.

Boy meets Maria

TARGET = young adults (14+) / adults

TW: stupro e pedofilia

Questa volta i trigger warnings li pongo prima ancora del testo, perché in questo manga ci sono delle scene esplicite, pesanti e ardue da mandare giù che riguardano queste due tematiche, per cui se sono argomenti da cui di solito vi tenete alla larga non posso che sconsigliarvelo.

Non ho, però, particolari altri motivi per farlo. È un manga che mi ha stupita davvero tantissimo, perché non ne immaginavo la trama quando mi ci sono approcciata, anzi pensavo che sarebbe stata una storia carina, leggera, divertente, con una coppia gay protagonista e basta. Invece…

Innanzitutto, non è tanto l’omosessualità a essere il reale argomento del manga, quando l’identità di genere e il modo in cui essa condiziona il modo in cui gli esseri umani vengono cresciuti e trattati. L’interezza della storia si basa sul peso che il pregiudizio e la rilevanza data all’apparenza può avere sull’esistenza di una persona e queste tematiche vengono espresse attraverso i due protagonisti: da un lato abbiamo Taiga Hirasawa, un ragazzo che comincia il suo percorso narrativo come personaggio superficiale, quasi disinteressato a scoprire cosa può esserci dietro al modo in cui chi lo circonda gli si presenta, e dall’altro abbiamo Yuu Arima, nome d’arte Maria, un attore nel club di teatro del liceo che entrambi frequentano, il quale interpreta ruoli femminili in modo più che convincente.

L’intero volume alterna i punti dei vista dei due ragazzi, che ci permettono di scoprire pian piano il loro passato e i loro sentimenti. Arima è stato costretto a vivere la prima decade della sua vita come se fosse una bambina, a causa del fatto che la madre avrebbe desiderato una figlia femmina; una volta accettato il ruolo che gli era stato affibbiato e le convenzioni a esso legate, il ragazzino è diventato piuttosto convincente nella sua recita; come se la sua infanzia non fosse quindi già stata abbastanza traumatica, l’evento che più di tutti lo segnerà e avrà conseguenze importanti sulla sua adolescenza sarà uno stupro, subito da un insegnante pedofilo, che tenterà anche di evirarlo, fortunatamente senza riuscirci. Questi panel sono stati fisicamente ed emotivamente esasperanti da guardare, quando mi ci sono imbattuta ho oscurato lo schermo del telefono e sono rimasta immobile per qualche minuto senza riuscire a continuare. L’aver convissuto con questi avvenimenti ha portato Arima a essere estremamente confuso, a sentirsi in difficoltà su come vivere e chi essere. La convinzione sociale per la quale esistono delle caratteristiche prettamente maschili e altre femminili e il non riuscire a conformarsi a nessuna di queste lo porta a soffrire immensamente.

È qui che però entra in gioco Taiga, un personaggio tutto da scoprire che termina il suo percorso nel manga in modo opposto rispetto a come ha iniziato. Taiga si infatua di Arima quando lo vede esibirsi nel ruolo di Maria nel loro club di teatro, pensando che sia una ragazza; rimane sconvolto dalla rivelazione che si tratti in realtà di un ragazzo (Arima stesso glielo dimostrerà piuttosto bruscamente, scocciato dalla sua insistenza e dal suo rifiutarsi di credere che fosse un maschio), ma alla fine decide che gli va bene anche così, che in fondo se gli piace il fatto che sia una femmina o meno non ha importanza. Inutile dire che Arima in un primo momento non gli crede, pensa che gli stia attorno solo perché lo vede comunque come una ragazza, e la loro relazione rimane piuttosto tesa nella prima parte della storia. Man mano però che scopriamo come mai Arima si esibisce solo in ruoli femminili, ma segretamente si esercita nell’interpretare personaggi maschili, Taiga si affeziona sempre di più a lui e comincia a guardare il mondo con occhi diversi. «Solo perché Arima ha fattezze femminili ed è bellissimo, non è corretto giudicarlo sulla base del suo aspetto!», urlerà a un certo punto ai suoi compagni di classe, che non si raccapezzano sull’identità del ragazzo, sul perché recita ruoli femminili o sul perché pur essendo un maschio si impegna nel comportarsi come tale.

Alla fine, è grazie alla presenza e all’affetto di Taiga che Arima impara ad accettarsi così com’è e a elaborare il suo trauma. «Stavo pensando… non sarebbe figo se esistesse qualcuno in grado di recitare sia ruoli femminili che maschili? […] Potremmo essere derisi, e potranno chiamarci ‘gay’, ma sia per me sia per te… non c’è motivo per cui dovremmo tenerci lontani dai riflettori.»

Così come è grazie alla conoscenza di Arima che Taiga impara a guardare oltre l’esteriorità, a mettere in discussione qualsiasi concetto preimpostato e ad abbandonare i propri pregiudizi. «Ah… ho capito, penso davvero di aver capito. Ragazzi a cui piacciono altri ragazzi, ragazzi che si vestono con abiti femminili… Ti rende strano ciò che ti rende diverso dagli altri. È questo il tipo di mondo in cui viviamo.»

Al di là di diverse scene piuttosto pesanti, ci sono anche dei momenti comici (specie quelli dove sono coinvolti i due amici di Taiga, personaggi di sfondo ma a loro modo comunque importanti per la trama) che cercano di bilanciare il tono generale della storia e il finale è soddisfacente e felice, un vero e proprio happy ending.

FILM DI ANIMAZIONE

In a Heartbeat

TARGET = kids

In a heartbeat è un corto animato sul quale non è che ci sia tantissimo da dire, perché quando lo si guarda si è principalmente impegnatə a sorridere tutto il tempo, al punto tale da farsi venire un dolore alla mascella, di fronte alla tenerezza che scaturisce dal breve viaggio nella mente e nel cuore del piccolo Sherwin, un ragazzino pel di carota terribilmente adorabile e innamoratissimo di Jonathan, suo compagno di scuola, più alto di lui e dai capelli marrone scuro. All’interno del corto, il cuore del bambino prende il sopravvento sul suo corpo, si separa da quest’ultimo acquistando vita propria e rincorre senza pudore l’oggetto del suo amore, mentre Sherwin tenta disperatamente di passare inosservato e di fermare l’organo impazzito. Purtroppo — o per fortuna — non avrà successo: il cuoricino palpitante arriva dritto alla sua meta, si fionda su Jonathan e gli carezza la guancia, tutto felice, dinanzi ai loro compagni di scuola, palesando in maniera plateale la cotta che il ragazzino dai capelli rossi ha per quello castano. In altre parole: la parte irrazionale ma anche emotiva e priva di filtri del bambino non vede cosa ci sia di male nel dichiarare apertamente ciò che la fa stare bene, nel rivelare a qualcuno, a prescindere dal suo genere, sentimenti genuini di affetto.

Il punto di forza del corto secondo me, paradossalmente, è la totale assenza di parole: al di là di versi e sospiri, i veri protagonisti della scena sono i gesti e le espressioni facciali, come quelle disgustate e stupite degli altri studenti, quella scioccata e un po’ a disagio di Jonathan nel momento in cui realizza i sentimenti di Sherwin, o quella terrorizzata e panicata di quest’ultimo quando si sente messo a nudo di fronte a tutti. Sarà proprio per via del panico che pur di uscire dalla scuola e riprendersi il suo cuore lo tirerà così forte da farlo spezzare: una metà rimarrà a lui, l’altra a Jonathan.

Sperando di rimanere solo, Sherwin si nasconde dietro a un cespuglio nel cortile dell’istituto, ma lì viene raggiunto dalla sua cotta, che gli restituisce la parte mancante e gli dedica un sorriso, grazie al quale un gemello apparirà anche sul volto del rossino; la sua gentilezza è capace di instillare un po’ di serenità al ragazzo, che fino a un minuto prima era sopraffatto dalla vergogna e dalla tristezza. Non sappiamo esattamente quali siano i sentimenti di Jonathan: alla fine del corto, il suo cuore palpita all’unisono con quello di Sherwin, e i due si rivolgono un dolce sorriso, ma quello di Jonathan potrebbe anche essere di comprensione e di affetto, non necessariamente d’amore. Eppure, non ha nessuna importanza: lui riesce a far sentire Sherwin accettato, gli fa compagnia mentre l’altro si sente solo e sbagliato, gli restituisce la metà spezzata del suo cuore per rimetterla a posto, per farlo tornare intero e funzionante, per concedergli la possibilità di continuare ad amare.

È impossibile non sciogliersi per i feels che questo piccolo corto infonde e, per quanto non sia nulla di rivoluzionario o estremamente complesso, io non ho potuto fare a meno di apprezzarlo fin dall’anno in cui uscì.

Una replica a “Consigli di rappresentazione LGBT+ #02”

  1. […] caso sono molto gay, ma tralasciamo). Ho letto due manga a tema queer che avrei voluto inserire nei consigli di rappresentazione lgbt+, ma uno dei due non mi è per niente piaciuto; il primo è stato Boy meets Maria, un fumetto […]

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