CONTIENE SPOILER DELL’OPERA
Yume Oukoku to Nemureru 100-nin no Ouji-sama, tradotto come 100 Sleeping Princes and the Kingdom of Dreams, è un anime isekai di dodici episodi realizzato da Project No.9 nel 2018. Nasce originariamente come videogioco per cellulare, per poi essere trasposto in un ONA (o Web Anime) e infine in una serie televisiva anime.
100 Sleeping Princes non è, da nessun punto di vista, un buon anime, o un prodotto che consiglierei, o che mi ha particolarmente colpita. Ho scelto di guardarlo per caso e ho continuato solo perché, come mio solito, mi sono affezionata ai protagonisti ed ero curiosa di vedere dove andasse a parare, considerando comunque la sua brevità. Non posso però dire di pentirmene o di sconsigliarlo totalmente: basta guardarlo consapevolə di ciò che è, ovvero un modo per intrattenersi quando si è annoiatə, capace di strappare un sorriso o addirittura una risata, senza aspettarsi coerenza narrativa o un efficace worldbuilding, perché non ne troverete.
Vorrei partire subito con ciò che ho amato, dato che ho veramente voglia di stendere su “carta” i pensieri che ho sviluppato. Ci sono solo tre cose secondo me davvero apprezzabili di quest’anime e sono i tre protagonisti: Avi, Kihel e Shujinko, gli ultimi due in particolar modo (la nostra eroina, però, viene chiamata lungo tutto il corso della storia semplicemente “Principessa”, Hime, il che mi aveva fatto persino dimenticare il suo vero nome, ma tralasciamo). Se la sfilza di personaggi presentata nel corso dei pochi episodi non è né sfaccettata né troppo impattante a livello di trama, questi tre vengono invece delineati piuttosto bene, soprattutto caratterialmente, e di Kihel arriviamo a scoprire molto anche dal punto di vista della sua backstory.

Partiamo da Avi, quello sicuramente sfruttato peggio tra i tre e che ha velocemente finito per fare da spalla agli altri due nel corso degli episodi. Avi è il principe di uno dei tanti regni dell’universo in cui è ambientata la storia ed è l’unico che la Principessa incontra esattamente come Nevi, l’animaletto che vedete sulla sua spalla, nel primo episodio le spiega che dovrebbe accadere: rinchiuso in un anello, e solo le preghiere della Principessa e la sua magia possono liberarlo. Il suo istinto iniziale è quello di tornare al suo regno, per vedere lo stato in cui si trova e prendersene cura, ma Nevi lo prega di accompagnare la sua Principessa in un viaggio che si prospetta carico di peripezie per svegliare anche gli altri principi, con lo scopo di combattere dei demoni mangia-sogni che stanno attaccando i vari regni; Avi con un po’ di riluttanza e molta cavalleria finisce per accettare e si propone di proteggere la nostra protagonista durante questa impresa.

Il carattere di Navi è un po’ quello di uno tsundere: è impulsivo e attaccabrighe (la sua catchphrase è «I’m gonna stab you!», spesso usata contro Kihel ironicamente), ma nasconde un cuore tenero e farebbe di tutto per difendere e aiutare coloro che ama. Anche se non viene mai esplicitato all’interno degli episodi, penso che abbia una bella cotta per la Principessa, cosa che lo porta a essere ancora più protettivo nei suoi confronti, che sia contro uno spaventoso demone o contro le avances insistenti di uno degli altri principi. Quello che mi dispiace è che inizialmente ero molto interessata da quello che poteva essere il suo passato, visto che viene introdotto come un ragazzo che ha perso qualcuno di molto vicino a lui e che è alla ricerca di più forza e potere per far sì che una cosa del genere non possa accadere mai più; alla fine, però, si scopre semplicemente che a morire è stata sua madre e che lui, per un certo periodo di tempo, da bambino, ha rimosso l’avvenimento per il troppo dolore provato; e questo dettaglio viene rivelato solo perché collegato alla storyline di Kihel. Insomma, si è data davvero poca importanza al suo personaggio, al punto che per me nel corso degli episodi è diventato interessante solo se preso all’interno della relazione che ha sviluppato con gli altri due protagonisti, Kihel in particolare.
Durante i primi episodi di 100 Sleeping Princes ero addirittura sul punto di shippare Avi e Kihel, perché le loro interazioni erano troppo esilaranti e il modo in cui Kihel scherzava affettuosamente con Avi da un lato mi faceva morir dal ridere e dall’altro mi inteneriva; tuttavia penso di essere arrivata a considerarli piuttosto ottimi amici, come del resto l’intero trio: non shippo la Principessa con nessuno dei due, mi piacciono semplicemente le dinamiche che si sono instaurate tra questi tre personaggi. Funzionano veramente bene assieme e l’affetto che provano l’uno per gli altri è quasi tangibile. Avi passa dal considerare Kihel particolarmente fastidioso e da scoraggiare la sua idea di viaggiare con loro a tenere tantissimo a lui e ad aiutarlo in ogni modo ad affrontare i suoi problemi esistenziali; se Kihel è affettuosissimo ed è a suo agio con il contatto fisico, Avi al contrario lo respinge ogni volta, ma è comunque capace di dimostrargli quanto gli vuole bene sia a parole e sia a fatti. Le continue battute e prese in giro che si scambiano nel corso degli episodi, con Kihel che lo chiama “fratellone” (aniki) o “partner” (aibou), sono state assolutamente stupende e sono l’elemento principale che mi ha fatto affezionare e interessare al loro rapporto.

Da un certo punto in poi la storia si concentra completamente su Kihel e sul suo percorso interiore e concreto per raggiungere il suo regno misterioso: il ragazzo non ha la più pallida idea di dove sia o di quale sia il suo nome, anzi: quando lo incontriamo neanche ricordava di essere un principe. Rammenta man mano nel corso degli episodi vari dettagli che finiscono per condurlo alla fine della storia dritto ad Atlas, la sua terra d’origine, e a scoprire come mai ha rimosso completamente la sua identità e perché qualcuno stia cercando a tutti i costi di fargliela ricordare. La storyline di Kihel secondo me non è stata eseguita particolarmente bene in termini di trama, però a questo magari ci arrivo dopo: ora preferisco concentrarmi sulle note positive.
A proposito delle quali, Kihel come personaggio non rientra in nessuno stereotipo da manga/anime, almeno non completamente, è mi è sinceramente piaciuto, dall’inizio alla fine. La sua catchphrase è “forse”, “probabilmente” (tabun), che finisce per aggiungere praticamente a ogni frase e che si adegua perfettamente al costante stato di incertezza in cui si trova: ci viene introdotto come un mercante senza permesso che il popolo adora, capace di attirare le folle con il suo modo di fare stravagante e il suo carisma, e in un disperato bisogno di denaro; continua poi il suo percorso alla ricerca dei suoi ricordi, che come ho già accennato recupera pezzo per pezzo molto lentamente (forse fin troppo). Ho provato pena per lui, un ragazzo senza passato e insicuro sul suo futuro, tuttavia sempre con il sorriso sulle labbra e la voglia di scherzare, giocare e aiutare il prossimo. La sua schiettezza e la sua ironia non oscurano la sua incredibile dolcezza e fragilità e sono tutti tratti che mi hanno spesso fatta sorridere.

Quando sul finale lo vediamo finalmente trovare la sua strada, sicuro di quello che vuole che sia il suo cammino e consapevole di ciò che ha vissuto in precedenza, non ho potuto non sentirmi felice per lui, nonostante per questo si sia dovuto separare dai suoi amici, la cui sola esistenza però continuerà a dargli forza nel suo percorso. Il sogno che suo padre e il suo tutore avevano per il regno è finito per diventare il suo, ma non in maniera forzata o imposta, al contrario con una genuinità tale che ha permesso agli eventi di raggiungere un complessivo lieto fine. Ho particolarmente apprezzato il fatto che nel suo discorso finale non usi il suo solito tabun, ma al contrario sia assolutamente certo e deciso di ciò che farà da quel momento in poi. Dal modo in cui si è conclusa la storia si potrebbe quasi pensare che fosse lui il protagonista principale e non la Principessa, visto che il suo arco narrativo ha effettivamente ricevuto un’apprezzabile conclusione, mentre quello di lei no (ma anche su questo tornerò più tardi).

Shujinko è senza ombra di dubbio l’aspetto più controverso di questo intero anime. È un personaggio femminile che soffre degli stessi difetti della maggior parte dei personaggi femminili degli shonen: non ha molta personalità, è spesso una damigella in difficoltà, non sembra capace di provare rabbia, rancore o disgusto, tuttalpiù sorpresa, persino quando alcuni dei principi che incontra nel corso degli episodi vanno troppo in là con il contatto fisico. Tuttavia, io sono fermamente convinta che Shujinko sia a suo modo anche un personaggio innovativo nella narrativa shonen: si tratta di una principessa il cui scopo è quello di salvare tutti i principi di un grande mondo, di dare loro la forza di combattere; lei è il motivo stesso per cui praticamente tutti riescono a trovare la loro strada. Per quanto la sua personalità non sia delle più focose o originali, risalta comunque il suo coraggio e il suo spirito di iniziativa, entrambi mossi dalla sua bontà d’animo che la porta a mettersi in pericolo senza la minima esitazione pur di aiutare gli altri, addirittura perfetti sconosciuti. Non dico che la figura della crocerossina con la sindrome di Sailor Moon sia rivoluzionaria, affatto, però dico che quasi mai avevo visto questo tipo di atteggiamento presentato come un modo di lottare.

È Shujinko che dà ad Avi e Kihel la forza di combattere i demoni (Kihel stesso a un certo punto afferma «siamo inutili senza di lei»), è lei il catalizzatore del cambiamento interiore che attraversano i vari principi che incontra ed è sempre lei a sconfiggere la minaccia finale, senza l’aiuto di nessuno. Non è chiaro da dove abbia preso i suoi poteri, non è chiaro a cosa faccia riferimento la luce alla quale lei si appella per le sue preghiere e che conferisce forza a coloro che le stanno intorno, ma resta il fatto che solo lei è capace di salvare la situazione, di volta in volta. La sua volontà di aiutare il prossimo le dà capacità di farlo per davvero, che sia attraverso l’anello che porta al collo o attraverso le sue sagge e confortanti parole. Shujinko dimostra nel corso dell’anime una grande capacità di osservazione, non è né stupida né svampita, è purtroppo indifesa contro gli attacchi diretti, ma bisogna pur sempre ricordare che ha vissuto tutta la sua vita fino a quel momento come una terrestre: non c’è nessun motivo logico per il quale dovrebbe possedere una potenza fuori dal comune o delle doti spettacolari che la abiliterebbero a sconfiggere demoni e quant’altro. Nonostante questo, lei vuole essere d’aiuto, vuole che il bene trionfi, vuole che le persone che la circondano siano felici e al sicuro. Ho sempre pensato che servano un grande coraggio e una grande forza per essere sempre gentili e altruisti a prescindere da ciò che accade e lei ne è una prova palese.


Il suo è un viaggio alla scoperta delle sue capacità, un percorso dove ha potuto rendersi conto del suo valore, completamente attorniata da persone che, in un modo o nell’altro, la apprezzano e le vogliono bene. Il fatto che lei non metta in discussione per più di qualche minuto del primo episodio il fatto di essere finita in un altro mondo è ovviamente un errore di scrittura bello grosso, perché suppongo che qualsiasi persona normale sarebbe scioccata e impaurita, e avrebbe reazioni molto più accese di quelle che ha avuto lei, però forse se considerato all’interno della trama è un elemento in più per capire fino a che punto la sua vita sulla Terra fosse per lei insoddisfacente: la prima cosa di cui io mi preoccuperei, al di là di capire come cavolo sono finita in un’altra dimensione e di come uscirne, sarebbero i miei cari: mi domanderei cosa stessero facendo o provando a causa della mia sparizione; Shujinko invece non menziona nessun familiare o amico nel corso dei dodici episodi, dice semplicemente di essere una donna d’affari nella media appassionata di videogiochi, anime e manga. Per quanto si sia trovata catapultata in un mondo che le viene presentato come la sua terra d’origine da cui è stata bandita alla nascita ma di cui lei non ricorda nulla, Shujinko si adatta piuttosto in fretta e accetta senza troppe lamentele il fato che le viene assegnato. Forse, questa esperienza le è stata d’aiuto più di quanto lei non potesse immaginare a scoprire dei lati di se stessa che non avevano avuto modo di brillare fino a quel momento.

I rapporto tra questi tre ragazzi è assolutamente paritario, affettuoso e piacevole da guardare. Sono senza ombra di dubbio la colonna portante dell’intero anime, che altrimenti risulterebbe totalmente insoddisfacente.
Innanzitutto il titolo ha senso fino a un certo punto, visto e considerato che i principi i quali i nostri protagonisti incontrano durante le loro avventure saranno al massimo una ventina (e grazie al cielo: la stragrande maggioranza non è assolutamente caratterizzata, ognuno ha a disposizione un focus di uno o due episodi, motivo per il quale non riesci ad affezionarti a nessuno prima che ne venga introdotto un altro e così via; ci sono addirittura degli episodi dove vengono presentati quattro o cinque principi assieme, ma nessuno viene effettivamente approfondito o particolarizzato; ci sono due episodi dove i principi dovrebbero rappresentare i personaggi principali di Alice in Wonderland e dove Shujinko viene scambiata per Alice, carini ma niente di esaltante e solo il Cappellaio Matto e lo Stregatto ricevono effettivamente un minimo di profondità. Mi rendo conto che il titolo è lo stesso del videogioco, ma non sarebbe la prima volta che un anime tratto da un gioco varia il nome e non ci vedo niente di male. La maggior parte di questi principi era solo un espediente per creare una situazione nella quale Kihel potesse recuperare parte dei suoi ricordi e la Principessa potesse sfoggiare la propria bontà, il proprio coraggio o la propria intelligenza; non dico che introdurre dei personaggi per incrementare lo sviluppo di quelli principali sia sempre una cosa negativa, ma di certo non è stata eseguita bene in questo caso.
Se da un lato mi ha irritata che l’unico principe il quale Shujinko ha effettivamente incontrato come Nevi le aveva preannunciato è stato Avi, è pur vero che non mi ha dispiaciuta affatto la metafora dello stato dormiente per indicare i dilemmi interiori e le problematiche che ogni principe stava affrontando: grazie alle azioni della Principessa, ognuno di loro si è “svegliato” ed è potuto tornare a governare il proprio regno nel migliore dei modi. Sono sul punto di dedicarmi solamente ai lati negativi dell’anime, quindi ci tengo a sottolineare che le interazioni di Shujinko con i vari principi sono state quasi tutte ben fatte e comunque mi è piaciuto vedere come risolvessero i loro problemi, molto più interessante di quella che dalla seconda metà è diventata poi la trama principale, tralasciando il fatto estremamente irritante che la maggior parte di questi principi ha le mani fin troppo lunghe nei confronti della Principessa.

Un buon villain può davvero fare la differenza in qualsiasi prodotto, elevando la storia o affondandola, e mi dispiace dire che in questo caso ci troviamo decisamente nella seconda categoria. Gli antagonisti sono avvolti nel mistero fino agli ultimi episodi, cosa che mi aveva resa carica di aspettative e davvero incuriosita su come si sarebbero evoluti gli eventi. Si viene invece a scoprire che il cattivo il quale fino a quel momento aveva fatto il lavoro sporco, Kegaremaru, è solo un’estensione del reale cattivo, Setique, una personificazione dell’oscurità del suo animo; ma se è così, allora perché anche Setique continua comunque a essere cattivo? Kegaremaru è l’unico personaggio forse realmente ben costruito: vuole semplicemente il caos, vive per divertirsi e intrattenersi, senza nessuna morale, con il solo obiettivo di godersi il tempo che ha a disposizione; per questo sopporta i monologhi e le scariche di rabbia di Setique: spera che alla fine della storia ci sarà un risvolto intrigante, che possa soddisfarlo, come un finale ben scritto di un film. Grazie alla fantasmagorica forza dell’amore, Setique passa dall’essere uno psicopatico che è rimasto così traumatizzato dalla morte del re di Atlas, suo carissimo amico, da desiderare la vita del figlio (Kihel) per riportarlo in vita, a diventare nuovamente l’uomo buono e giusto che era quando il compagno era ancora vivo, Kegaremaru è giustamente seccato, poiché si aspettava sangue e fuoco e si è invece ritrovato un lieto fine. Se ci si fosse concentrati maggiormente sul conflitto tra Kegaremaru e Setique e se si fosse resa meno blanda, scontata e veloce la redenzione di quest’ultimo, rendendo anche più chiaro come mai avesse lasciato fuggire Kihel in primo luogo, visto che poi ha cercato con tutte le sue forze di riportarlo ad Atlas, sarebbe potuta essere una storyline interessante. Anche il senso di colpa che Kihel provava verso di lui non è del tutto giustificato: la volontà di riportare in via il padre è lecita, come anche il pensiero di voler morire per averlo condotto, inconsapevolmente, verso la sua fine, ma il modo in cui si è consegnato a Setique, senza fiatare, pur sapendo che quest’ultimo non aveva fatto altro che usarlo, nel nome di bei ricordi che però hanno un significato diverso rispetto a ciò che credeva lui, è stato un po’ strano.
Alla fine Setique muore, in pace con se stesso e contento di ricongiungersi al padre di Kihel, e questi diventa finalmente re, con l’intenzione di far tornare a splendere il suo regno e concludendo così il suo arco narrativo.
L’arco di Shijunko, invece, è un’altra storia: come per Avi, viene abbandonata per la strada la volontà di spiegare di più su Traumere, il suo regno, o di farcela arrivare. L’anime si conclude con la presa di coscienza che Traumere viva alle spese di Atlas, anche se il motivo non mi è ancora del tutto chiaro. Questo universo che vive con la forza dei sogni rimane perlopiù avvolto nel mistero, il worldbuilding è piuttosto minimo, non si comprende come l’esistenza stessa del regno di Kihel potesse essere sconosciuta quando è un luogo che geograficamente esiste, solo perché meno noto e ridotto in miseria a causa di Traumere. L’intera storyline concentrata sullo spiegare questo conflitto politico l’ho trovata davvero confusionaria. Non avremo mai l’occasione di conoscere quel regno che è stato menzionato dal primo episodio, da cui la Principessa era stata cacciata da piccola (cosa per la quale non si conosce neanche il motivo), e che risulta essere centrale per spiegare le azioni del padre di Kihel e di Setique stesso.
Concludo qui con la mia recensione, di cui probabilmente non fregherà a nessuno, visto che quest’anime lo abbiamo visto probabilmente solo io e i creatori.
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